Da Chiang Rai (Tailandia) a Vieng Phuka e Luang Namtha tra le montagne del nord

 

 

Prima tappa

Chiang Rai – Vieng Phuka, 90 chilometri in bicicletta, 1470 metri di dislivello

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Cosa vedere e quando:

  • Il parco naturale di Nam Ha: foreste, montagne, fiumi, dislivelli. Io li ho attraversati in bici, voi potete anche fermarvi a fare trekking
  • I villaggi rurali di montagna: la gente vive in casette di bambù e legno, si lava nei torrenti, divide lo spazio con galline e maiali… Non ha nulla, ma sa apprezzarlo così tanto da avere sempre il sorriso. Solo il Laos ti riserva questa accoglienza speciale: preparati a urlare milioni di volte “Sabaidee”!
  • Il confine tra Tailandia e Laos, ovvero il fiume Mekong, illuminato dai primi raggi dorati dell’alba e dal rosso del tramonto
  • A Luang Namtha lo stupa dorato, che sormonta una collina da cui godere di uno splendido panorama. Fermatevi a meditare davanti al Buddha sdraiato, fedele riproduzione del più grande presente a Vientiane. Visitate anche il mercato notturno, per mangiare e bere local, lungo la strada principale
  • Vieng Phuka non ha molto da offrire, ma è la città base iniziale per ogni percorso di trekking

 

 

Natura selvaggia, montagne ricoperte da foreste tropicali, piccoli paesi composti da una decina di famiglie che vivono su palafitte, dove i bambini ti accolgono salutandoti e sorridendo e i loro genitori ti offrono cibo, acqua e liquori per ospitalità, ringraziandoti per la visita. Basta la prima tappa, il primo giorno, i primi 90 km in mezzo alla riserva naturale del Nam Ha per essere conquistati da questo paese.

A prima vista tutto appare povero, le persone senza nulla, i bambini vestiti di stracci. Ma in realtà quì le persone possiedono tutto ciò per cui noi occidentali spendiamo migliaia di euro da psicologici e medici: la serenità e la gioia di vivere. E’ bastato attraversare i piccoli villaggi montani di questa prima tappa in bici per capirlo: tribù locali che probabilmente non hanno mai visto la capitale e che fino al 1975 sono state bombardate a raffica dagli americani senza un perché,  ma hanno sempre mantenuto la loro personalità e la loro dignità, tutto intatto fino a oggi.

Chi crede che il Laos sia pericoloso è completamente fuori strada: è semplicemente povero. La popolazione è per il 95% buddista e non farebbe male a una mosca. Sono cordiali, gentili, forse incuriositi dagli stranieri che viaggiano nel loro paese. Una classe media non esiste, almeno nei piccoli villaggi del nord tra le montagne. Seppur ancora sotto regime comunista (il Laos è una Repubblica popolare con un solo partito), dal ’95 hanno instaurato la proprietà privata e abolito la collettivizzazione. Ma ciò non è bastato ad avviare un processo di arricchimento dei cittadini: il loro reddito medio è di due dollari al giorno. Le persone sono abituate a vivere in capanne di legno e a mangiare gli animali che hanno in giardino, vivendo di agricoltura o di espedienti, però raramente si incontra un laotiano che si lamenta. Anzi, il loro stretto legame con la natura circostante, che fornisce cibo e protezione, non li rende bisognosi di nulla: qui hanno già tutto ciò che gli serve.

 

La prima tappa di questo viaggio è iniziata in Thailandia, vicino al confine con il Laos nella provincia di Chiang Rai. Oltrepassare il confine è estremamente complicato: la Thailandia è separata dal Laos dal fiume Mekong (uno spettacolo mozzafiato soprattutto all’alba quando l’acqua che scorre tranquilla e lenta si colora di riflessi dorati circondata da piante rampicanti e liane). Il confine si trova su un ponte e per valicarlo bisogna prima uscire dal confine thailandese, poi prendere un bus obbligatorio (i pullman privati non possono viaggiare) e infine passare il confine laotiano pagando 35 dollari e presentando una fototessera per ottenere il visto. L’intera operazione richiede almeno un’ora visto che il confine è sempre affollato di locali e stranieri, almeno quello a Nord della Thailandia (Chiang Khong).

Abbiamo percorso 90 chilometri in mezzo alle montagne lungo l’unica strada asfaltata, con un dislivello di 1.470 metri, con una pendenza massima del 20%. Insomma, non certo una passeggiata, soprattutto se considerate che abbiamo viaggiato su mountain bike fornite da un’agenzia laotiana, sprovvista di qualsiasi comfort. Il momento in cui avevo più timore, infatti, era quando iniziavano le discese che, sui tornanti in montagna, ti spingevano alla velocità anche di 60 km orari. Ma anche la salita non è stata semplice: ero allenata, ma le salite dei Colli Euganei sembrano passeggiate. La salita più lunga è stata di circa 20 km a circa 20% di pendenza. Alla fine, però, ce l’abbiamo fatta. Sia io sia i miei 11 colleghi di viaggio provenienti da tutta Italia, superando le forature e la fatica.

Ogni sforzo è stato ripagato: viaggiare in bici è infatti un modo di entrare realmente a contatto con un territorio, conoscendone gli odori, i profumi, le condizioni climatiche, i villaggi meno turistici e, perché no, divertirsi in compagnia. Durante le soste (il viaggio è iniziato alle 11 e siamo arrivati a destinazione alle 17.30) ci siamo fermati nei villaggi locali e abbiamo interagito con gli abitanti e abbiamo visitato alcune scuole. Si tratta di villaggi di etnie locali: in Laos infatti esistono almeno 4 etnie diverse, causate dalla vicinanza con la Cina, con la Tailandia, con il Vietnam-Cambogia e dagli abitanti di montagna, come in questo caso. Etnie che furono pesantemente divise durante la guerra del Vietnam, che in Laos si trasformò in guerra civile: gli Usa, infatti, prima armarono la parte dei laotiani contrari al comunismo del Vietnam e della Cina. Poi, rendendosi conto di aver perso la guerra, bombardarono tutto il territorio montano, dove si nascondeva la frangia comunista. Risultato: il comunismo prese il potere, uccisero milioni di persone e oggi il terreno è ancora pieno di mine e residui bellici inesplosi.

 

Alle 17.30 infine siamo arrivati a Vieng Phukha. Un villaggio un po’ più strutturato, con acqua corrente ed elettricità e una guest house addirittura con wifi. C’è un alimentari, un ospedale e una banca. Direi il minimo indispensabile per vivere dignitosamente. E’ la base per partire con escursioni di trekking: molte agenzie offrono guide. Purtroppo, in segno di ringraziamento per la visita, i proprietari della guest house hanno voluto farci assistere a un rito per loro molto importante: lo sgozzamento del maiale, per prepararci la cena. Qui, prima di ucciderlo con un coltello piantato in gola, gli strappano i testicoli mentre è ancora vivo e la vescica, per evitare che morendo si diffonda l’urina sulla carne. Vi lascio immaginare quanto ha pianto e con che intensità. Non discuto le buone intenzioni di questa brava gente, che ha voluto condividere con noi un momento importante per la loro cultura. Ma tanta sofferenza insieme non l’avevo mai vista e ci sono rimasta veramente male, anche perché il maialino fino a cinque minuti prima era davanti la mia porta a farsi accarezzare. Certo, meglio che passare la vita in batteria come da noi per poi morire senza essere mai usciti dalla gabbia.
Ma tutto questo, in me, ha provocato una decisione irrevocabile: sono diventata vegetariana. Non voglio più essere responsabile della morte di nessuno.

Il giorno dopo siamo stati svegliati da un pesante acquazzone, anzi un vero e proprio monsone, visto che ha smesso di piovere quasi 36 ore dopo. La strada non permetteva di pedalare: troppe discese e con le gomme lisce rischiavamo di scivolare. Così abbiamo raggiunto Luang Namtha in pullman, 50 km semplici, trasformandoci in turisti ordinari. Imperdibile, in questa piccola cittadina dotata anche di marciapiedi e strade asfaltate, oltre che di ostelli e qualche turista straniero, una visita allo stupa dorato. Lo stupa è un monumento buddista, all’interno del quale vengono conservate le ceneri dei defunti. In ogni città viene costruito in collina, per dominare il territorio. Da quì, infatti, abbiamo potuto ammirare un panorama stupendo, anche se con la pioggia battente. E dietro lo stupa ci si può fermare per meditare davanti al Buddha sdraiato o entrando in una piccola grotta piena di statue sacre. Un primo assaggio della grande misticità che si respira in Laos e che raggiunge il suo punto massimo a Luang Prabang, la vecchia capitale.

 

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