Cosa fare e quando:
- Godersi il panorama dal punto più alto delle montagne: Nahom, a 1500 metri di altezza
- Fare trekking tra le cascate nascoste tra le montagne, in mezzo alla foresta tropicale
- Fermarsi a Udomxai e visitare al tramonto il grande templio e la stupa Wat Xieng Thong
- Visitare i villaggi tribali, i loro mercati, le loro scuole: sono poverissimi, ma tutti con il sorriso e una gentilezza fuori da ogni immaginazione occidentale
Il terzo e il quarto giorno del nostro viaggio in bici in Laos ci ha portati a scoprire le montagne del nord, verso il confine con la Cina. E’ incredibile vedere come il panorama, anche in brevi distanze di circa 100-200 km, cambi completamente. Le montagne infatti diventano più alte, raggiungendo anche quota 1500 metri (non vi dico la gioia di fare queste salite, che però, fortunatamente prevedevano anche le discese), si iniziano a vedere cascate, boschi (sempre tropicali) dove perdersi in sentieri dalla bellezza mozzafiato, i villaggi diventano ancora più poveri, abbarbicati in alture di terra rossissima. Ma cambia soprattutto il modo di vivere il territorio delle varie popolazioni: qui villaggi poverissimi si alternano a fabbriche, discariche in cui si dà ancora fuoco ai rifiuti in libertà e camion enormi, tutti portati dai vicini cinesi senza alcun rispetto per la natura circostante.
Abbiamo prima attraversato degli altipiani coltivati tutti a caucciù, l’albero della gomma, per poi inerpicarci sulla salita lunga 15 km che ci ha portati fino a Nahom, a 1500 metri. Una faticata ripagata con uno dei panorami più belli che abbia mai visto: le dolci pendenze della foresta tropicale dipinta di un verde scintillante sotto al sole, ancora bagnata dalla pioggia. Siamo poi scesi a valle, fino a raggiungere la cittadina di Oudomxai, al confine con la Cina. E purtroppo, bisogna dirlo, si vede benissimo quando un territorio viene a contatto con la corruzione e con i soldi: i cinesi stanno costruendo un viadotto per i treni ad alta velocità che collegherà il loro paese con Vientiane, capitale del Laos, che la Tav in Val di Susa in confronto è un progetto a impatto zero. Inoltre, interi campi sono ricoperti di plastica e immondizia non gestita regolarmente e, anche nei punti più pittoreschi della foresta sorgono industrie cinesi dai fumi densi alquanto agghiaccianti. Purtroppo, esistendo un unico partito e non votando nemmeno, la popolazione qui non può certo dire la propria.
Tutto questo però fa riflettere: la ricerca del progresso a tutti i costi, del profitto e dello sfruttamento, quanto bene sta facendo a questo nostro pianeta? Il fatto che noi, in Europa, non vediamo questa parte di mondo dove poi vengono spedite tutte le nostre scorie, non vuol dire che non esista. E’ un po’ come nascondere la polvere sotto al tappeto: prima o poi, la montagna di sporcizia sarà troppo grossa e impossibile da pulire.
Fortuna che i villaggi che abbiamo incrociato erano composti da tantissimi laotiani gentili e premurosi, che ci hanno fatto dimenticare le brutture del progesso: tantissimi bambini al nostro passaggio ci rincorrevano per batterci la mano, salutarci e incitarci. E’ incredibile quanti bambini ci siano, penso che ogni famiglia abbia almeno 4 figli: non credo nemmeno che esista un’anagrafe accurata per censirli tutti. I più grandi, dopo averci guardato un po’ come marziani, ci offrivano della frutta o da mangiare. Ci siamo anche fermati a un mercato locale lungo la strada. Le bancarelle sono fatte di bambù e sorgono ai margini della strada, così come i villaggi pieni di bimbi che corrono scalzi in mezzo a galline e maiali. Siamo stati accolti da alcune anziane signore ci hanno offerto pannocchie di mais e arachidi per rifocillarci. Quì, poi, abbiamo potuto constatare che è vero: in Asia mangiare topi, pipistrelli, scarafaggi è assolutamente normale. E dicono che tutte queste cose siano anche buone. Io, sinceramente, non me la sono sentita di provare (anche perché sto continuando nella mia scelta di essere vegetariana).
La gente è davvero in pace quì. Vi posso assicurare che solo noi, che viviamo in modo diverso, ci accorgiamo della loro estrema povertà: loro sono sereni, in pace con il mondo, e assolutamente in armonia con la dirompente natura che li circonda. Forse, dovremmo un po’ tutti imparare da loro a curare di più la nostra anima interiore e meno il nostro ego, come direbbe Terzani. Non è certo la ricchezza che rende felici. Come loro, invece, dovrebbero imparare da noi a protestare qualche volta, per difendere i loro diritti e non farsi calpestare dall’impero cinese.
Io credo che la pace interiore nasca anche dall’ambiente circostante. Tra quelle montagne dai colori scintillanti, riscaldata dai raggi di sole, tra salite e discese faticose ma divertenti, non ho mai desiderato nulla di più dell’esatto momento che stavo vivendo nel modo in cui lo stavo vivendo.
Proprio per ringraziare questa popolazione così gentile e sorridente, quindi, durante il nostro viaggio abbiamo voluto organizzare un momento speciale: Paolo Franceschini, comico che ha condiviso con noi questa esperienza, si è fermato in una scuola elementare locale per intrattenere i tanti bambini con uno spettacolo. La differenza di lingua non è stato un problema: fischietti, palline, palloncini e magie sono un linguaggio universale, come quello del divertimento dei bambini, che ci hanno ricoperto di abbracci e di risate.
Al termine dello show, poi, abbiamo voluto regalare loro qualche ricordo: penne colorate, quaderni, indumenti. Tra questi anche le magliette donate gentilmente dall’associazione Faedesfa di Rovigo. La loro gioia è uno dei sentimenti più puri che si possa vivere: il tutto anche se studiano su banchi di legno in mezzo al fango, camminando anche per mezz’ora lungo una strada in salita per poter frequentare la scuola.
Siamo poi arrivati nella cittadina di Oudomxai, proprio al confine con la Cina. Qui il 20% della popolazione è di origine cinese, i cartelli stradali sono scritti in mandarino e tutte le strade sono tappezzate di negozi brillanti e scintillanti di Huawei, che per l’appunto significa Grande Cina. E’ una città completamente diversa dalle altre: lo spirito da conquistatori economici dei cinesi ha distrutto l’atmosfera magica del Laos, trasformando la città in un paese consumista.
L’unica cosa dall’aurea sacra che è rimasta è il grande tempio Wat Xieng Thong: si trova in cima a una collina dal quale mi sono fermata a osservare il sole che tramontava sulla città, circondata da monaci buddisti vestiti di arancione che pregavano attorno a un Buddha gigantesco e dorato. Lungo la lunga salita, poi, tantissimi fiori profumati, dall’aroma persistente e piacevolissimo, che fa bene al cuore come quello della moka di caffé di prima mattina. Un’atmosfera surreale e mistica, che porterò nel mio cuore a lungo: qui la parola d’ordine è davvero “calma e pace interiore”.
SPLENDIDO!!!!!!!
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