Percorrere la Nakasendo road in bicicletta, alla scoperta del Giappone feudale

Non è stato semplice organizzare il mio viaggio in bici in Giappone: non esiste, infatti, nessuna informazione riguardante il cicloturismo nel Sol Levante in Italiano. Ho dovuto quindi studiare luoghi, percorsi, regole da rispettare su blog in inglese, in giapponese e cercando di contattare sui social le persone che avevo visto avessero fatto qualche esperienza a riguardo. E ovviamente, partire all’avventura consapevole che tante cose le avrei imparate lungo il viaggio. Quindi eccomi qua, a raccontarvi le mie esperienze per fare sì, che questa volta, se qualcuno volesse informarsi su itinerari da seguire in bici in Giappone, possa trovare almeno il mio articolo in Italiano 🙂

Prima di tutto ho cercato di capire quali luoghi fossero i più interessanti da percorrere in bici sia per la loro storicità, sia per i loro panorami, sia per il loro significato simbolico: in Giappone tutto assume un senso filosofico molto profondo e il mio obiettivo è stato proprio quello di attraversare e comprendere meglio la cultura di questo fantastico paese. E dopo qualche mese di studio ho deciso che la prima strada che avrei percorso in bici in Giappone sarebbe stata la Old Nakasendo Road, l’antica via di collegamento tra Kyoto e Tokyo nel periodo Edo, che ancora oggi attira migliaia di pellegrini affascinati dalla storia feudale giapponese. Una sorta di Cammino di Santiago orientale, che si snoda in circa 650 km di strade sia asfaltate sia sterrate lungo le Alpi giapponesi (il dislivello complessivo è di 6600 metri), e attraversa le 69 città postali che un tempo permettevano le comunicazioni nell’antico impero, che sono quasi tutte architettonicamente conservate come allora: case in legno, sale da the che ospitano i pellegrini lungo i passi di montagna, mulini a vento, strade ciottolate chiuse al traffico veicolare, assenza di cavi elettrici. Le tracce del mio percorso le ho recuperate grazie a un blogger cicloviaggiatore giapponese, che ringrazio ovviamente per l’aiuto e le potete trovare sul mio profilo Koomot liberamente.

Un po’ di storia

La Nakasendo road è stata creata nel periodo Edo (nel 1600, quando lo shogun Tokugawa prese il potere fino al 1845): una sorta di “autostrada” dell’epoca feudale giapponese che collegava la capitale imperiale di Kyoto a Edo (l’odierna Tokyo), sede dello shogunato. Lungo il percorso sorgono 69 paesi “postali” ovvero villaggi dove si potevano inviare le proprie comunicazioni proprio grazie al continuo passaggio di samurai e Daimyō (signori feudali) con le loro famiglie. Ovviamente non era l’unica via percorribile, ma venivano preferite queste strade di montagna a quelle costiere per evitare tifoni, allagamenti e tsunami.

Le tappe

Ho diviso il percorso in tappe di circa 100 km al giorno, facendo qualche km in più quando la strada era pianeggiante e qualcuno in meno quando era in salita. Sono partita all’alba del 5 novembre da una Tokyo ancora addormentata (il sole sorge molto presto a novembre, verso le 5.30) con l’emozione di attraversare una metropoli vuota e spenta, illuminata solo dal cielo rosa. I primi 130 km sono corsi via veloci, perché quasi tutti in pianura e lungo argini dove gli studenti si danno appuntamento per giocare a baseball. E qui ho scoperto la prima grande verità: potevo portare con me la metà delle cose. In Giappone, infatti, ogni km al massimo c’è un combini, ovvero un family market aperto h24 che vende di tutto: dal caffè ai dolci, dal pasto caldo all’acqua, dai guanti alle mutande.

Dopo circa 70 km sono arrivata nel primo villaggio postale conservato storicamente, Kawagoe: templi, strade ciottolate, vecchie botteghe artigianali di legno. Tutto fa ritornare indietro all’epoca feudale. Divertente è pedalare per le sue strade storiche, piene di negozi di dolciumi.

Dopo altri 50 km di argini e piste ciclabili (il Giappone è davvero un paese bike friendly: molti girano in bici e ci sono molte strade dedicate) sono arrivata a Takasaki, il paese che ha dato i natali alle bambole Daruma (quelle tonde con un occhio solo, che si dipingono per far avverare i propri desideri e poi si bruciano nei templi). Un piccolo centro con un castello feudale, un museo dedicato e piccole stradine piene di negozi tradizionali e un’area più moderna piena di centri commerciali. Ho alloggiato all’hotel Sun, che vanta un ottimo rapporto qualità prezzo: https://hst20.com/ e ho mangiato in un piccolissimo ristorantino di Udon – anche lì sembrava che il tempo si fosse fermato -, dove mi ha servito un’anziana che non sapeva parlare una parola di inglese. Comunicando a gesti e con poche parole in giapponese alla fine sono riuscita ad assaggiare la tempura più buona che abbia mai sentito!

Dalla seconda tappa ho iniziato a salire in termini di dislivello e sono iniziati i panorami montani, le foglie colorate e anche i primi imprevisti. Per raggiungere Saku, la storica Nakasendo si scosta dalla strada per attraversare un passo di montagna su sterrato. Ovviamente ho seguito la traccia, che mi ha portato in una salita di 8 km prima su ghiaia e poi interamente ricoperta di foglie colorate che mi ha tenuto a bocca aperta per la meraviglia. Gli alberi di acero in Giappone raggiungono una tonalità di rosso che è impossibile da immaginare, soprattutto se contrapposto al giallo delle piccole foglie a ventaglio di Ginko, che cadono fluttuando nell’aria: si viene trasportati in un attimo in un mondo fantastico di colori, tale per cui è stato coniato il termine “Momiji” ovvero il rosso delle foglie autunnali, una bellezza effimera che dura meno di un mese, ma che sa accendere di incanto intere foreste. Presa dalla bellezza ho notato la fatica solo dopo gli 8 km di salita. Peccato, però, che in cima ci fosse un cartello di strada chiusa al traffico per pericolo frane. Anche per le bici. La mia gioia, quindi, è svanita in un attimo: ho dovuto scendere da dove ero salita, trovare una strada alternativa, e risalire. La strada più vicina era una statale, molto trafficata: seppur ci fosse sempre una bikeline per i ciclisti, l’aria spostata dai camion e dalle auto ad alta velocità mi ha fatto perdere tutta la meraviglia della natura fino a Saku, piccola cittadina incastonata tra le montagne (ho dormito all’hotel Sakudahira plaza, con tanto di bagni pubblici). E ho percorso 100 km al posto di 70, con 1600 di dislivello. Ed ecco un altro grande insegnamento: prima di partire fare sempre una e-sim per poter usare i dati del cellulare, in modo da consultare google maps in quasiasi luogo. Io ho usato Aloo, servizio semplice ed economico (per tutti i consigli di viaggio leggi il mio articolo).

Il terzo giorno fortunatamente è andata meglio, seppur con molta fatica (80 km con 1600 di dislivello). I due passi di montagna che ho oltrepassato per raggiungere il lago di Suwa prima e Shoiojiri poi erano entrambi su sterrato e quindi immersi in una natura fantastica e senza auto, seppur in qualche tratto molto ostici tanto da dover ricorrere al “portage”. Alla fatica si è aggiunto anche il pericolo orsi, ben segnalato sui sentieri al principio dei quali si mette sempre una campanella da suonare per spaventare gli animali. In questo tratto ero completamente sola e ho imparato bene a fare i conti con me stessa, dosando la mia fatica e parlandomi da sola per tirarmi su di morale, incitandomi a non mollare a qualche km dalla fine e a concentrarmi passo dopo passo sul presente. Il lago di Suwa è un luogo sacro per i giapponesi e compare in numerosi libri, opere di Hokusai e anime. Se si si vuole si può percorrere l’anello ciclabile di 16 km che lo circonda: io ovviamente ho lasciato stare perché ne avevo già abbastanza così 🙂

Il vero colpo di scena è arrivato quando sono giunta a Shoiojiri: ho scoperto che era la “città del vino” giapponese. Ogni curva nascondeva una cantina dove poter degustare vino locale: un vero toccasana per la mia golosità e per la mia curiosità enogastronomica. Devo ammettere che molte cantine sono molto giovani e il vino della prefettura di Nagano deve ancora raggiungere un’evoluzione e maturità degna di nota, ma sono certa che con la loro passione i giapponesi otterranno anche questo risultato. Poco distante sorge uno dei castelli più belli del Giappone, quello di Matsumoto.

Il quarto giorno sono entrata nella valle del Kiso, percorrendo circa 80 km, con 1600 di dislivello. A qualche Km da Shoiojiri sorge una delle più belle e meglio conservate città postali della Nakasendo: Narai-juku. Per la prima volta ho trovato dei turisti intenti a visitare questo paese interamente di legno, composto da circa una cinquantina di edifici che oggi ospitano musei, templi, caffè e ristoranti. Mi sono fermata a fare la mia seconda colazione con un ottimo gohei mochi, dolcetto di pasta di riso che è la specialità della zona, e poi mi sono apprestata ad attraversare uno dei passi più duri, interamente su sterrato. È stata una bella sfacchinata, in qualche tratto ho spinto la bici, ma la meraviglia è stata tanta: ho attraversato boschi di bambù, pampas, ponticelli sospesi sui torrenti… Dalla discesa, sono entrata nel cuore della Nakasendo, dato che ogni villaggio era una città postale: Yabuharajuku, Miyanokoshijuku, Fukushimajuku, fino ad arrivare ad Agematsu, dove avevo prenotato un ryokan con tanto di Onsen.

Le onsen sono le terme giapponesi: molto diffuse, dato che la cultura del bagno caldo dopo la doccia fa parte del loro quotidiano. Piccolo avvertimento: se siete tatuati, e ci sono altre persone dentro, non vi fanno entrare perché non è visto di buon occhio. Fortunatamente ero completamente sola e, pur avendo la schiena completamente tatuata sono riuscita a godermi lo spettacolo delle montagne al tramonto immersa nell’acqua bollente.

Il quinto giorno è stato il più spettacolare: ho attraversato le città postali più conosciute e meglio conservate, ovvero Nagiso, Okuwa, Tsumago e Magome, percorrendo passi di montagna mediamente semplici anche se sterrati (molto battute dai turisti a piedi e quindi non mi sono mai sentita in pericolo), ho visto dei panorami spettacolari grazie alla contrapposizione di colori che solo la natura giapponese sa dare, mi sono imbattuta in alcune scimmiette e ho preso il coraggio per lanciarmi nelle discese di pavé nonostante le numerose vibrazioni. Questi paesi sono davvero ben conservati e tutelati: mulini ad acqua, nessun cavo elettrico, templi che accolgono i pellegrini, sale da the in mezzo alla montagna… Qui troverete un sacco di turisti local. Arrivata ad Ena, dopo circa 80 km, però, la fatica si è fatta sentire: sono riuscita a malapena a fare una lavatrice e sono crollata a letto alle 9 di sera.

Il sesto giorno da quando mi sono svegliata a quando sono andata a letto ha piovuto sempre. Per fortuna ero tecnicamente preparata, grazie a RideXTreme, negozio di Este che mi ha fornito tutto il necessario contro la pioggia: ho indossato due antipioggia per la parte alta, uno per i pantaloni, copri scarpe e guanti in neoprene. Ogni due ore facevo una pausa nei combini per scaldarmi e poi ripartivo. La grande quantità di acqua ha ovviamente rovinato i panorami, ma non mi ha tolto la soddisfazione di arrivare all’ufficio turistico di Unumajuku e scoprire che sono stata la prima non giapponese ad aver percorso l’intera Nakasendo road in bicicletta. Un anziano signore era così entusiasta che mi ha fatto un’intervista da inviare all’ufficio turistico centrale, regalandomi una targa in legno di riconoscimento.

La mia giornata si è conclusa a Gifu dopo un centinaio di km, città davvero signorile con tanto di castello e templi altisonanti. Tutto mi stava a indicare che Kyoto era sempre più vicina. Visitare il Castello di Gifu e il parco sottostante è un’esperienza che consiglio a tutti: si prende una funicolare e in qualche minuto si è in cima alla collina (il costo è di qualche euro).

Ed ecco finalmente l’ultima tappa, i 150 km che mi hanno portato a Kyoto con spirito trionfale. Mi sono svegliata all’alba, entusiasta come non mai e prima ho salutato l’ultimo passo di montagna, poi ho accarezzato le sponde del magnifico lago Biwa, dove di punto in bianco sono tornati i bar e le attività commerciali del Giappone moderno, oltre che tantissimi windsurfer. Vi consiglio di fare tappa pranzo al Diner Pop, un ristorantino bellissimo in stile USA anni ’50 con due giovani gestori fan dei Dragon Ash.

Ho fatto poi tappa nella città postale di Omihachiman, incrociando le prime ragazze vestite a festa in kimono e degustato dell’ottima birra artigianale nella brewery più famosa della zona: two rabbit. E infine, giù, con 30 km prima pianeggianti e poi tutti in discesa, verso la città che fino al 1850 è stata la capitale del Giappone e ancora oggi conquista tutti per la sua signorilità e i suoi templi altisonanti: Kyoto.

Se vuoi scoprire di più sul Giappone, leggi i miei articoli su Tokyo, Nara, Koyasan, Okinawa e sui consigli prima di partire.

2 risposte a "Percorrere la Nakasendo road in bicicletta, alla scoperta del Giappone feudale"

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