Una mostra dedicata all’alluvione del Polesine: le emozioni rivivono a palazzo Roncale

Un buon motivo per visitare Rovigo? Le splendide mostre che si realizzano a Palazzo Roverella e a palazzo Roncale. Di respiro internazionale quella al Roverella, dedicata agli scatti di Robert Doisneu (fino al 30 gennaio), mentre più locale quella a palazzo Roncale, dedicata all’alluvione del Polesine del ’51 e al riscatto di questa terra 70 anni dopo. Ed è proprio di quest’ultima che vi voglio parlare, perché non c’è nulla di più bello di immergersi in un luogo conoscendone la storia, il presente e anche il futuro. Perché se si vuole capire davvero lo spirito del Polesine, terra tra il fiume Po e il fiume Adige, non si può prescindere dal comprendere il suo rapporto di odio e amore con l’acqua, che alla fine sublima in un eterno amore (sì sa che l’odio è solo l’altra faccia della stessa medaglia).

E di acqua ne arrivò tanta quel maledetto novembre del 1951. Arrivava da nord, dato che da settimane il maltempo imperversava in Piemonte. Il Po era “gonfio” e non solo d’acqua: c’erano alberi sradicati, rami e oggetti di ogni tipo trasportati dalla furia della corrente. Come ha raccontato Luciano Rovatti, testimone della grande alluvione che mi ha accompagnata alla scoperta di questa interessante mostra a Palazzo Roncale, l’acqua arrivava fino al ponte che collegava Santa Maria Maddalena a Pontelagoscuro, al punto che si poteva toccarla con la mano oltrepassandolo, e i rami continuavano a sbatterci addosso. Gli arginelli in golena erano già tracimati e le case di quella zona erano già allagate al piano terra. Al punto che lui aveva iniziato a dormire al secondo piano, proprio sotto ai salami che erano stati messi in salvo.

Ma il 14 novembre successe qualcosa che nessuno dimenticherà più. Prima uno scoppio, che si diceva fosse lo scoppio di una tubatura di gas in zona Bergantino. Nella realtà dei fatti, invece, si tentò di rompere l’argine con la dinamite per far defluire l’acqua dove avrebbe fatto meno danni. Poco dopo, dalle 20 circa, però, una serie di rotture degli argini in concomitanza fece riversare tutta la portata del Po sulle campagne, e sulle case, dei Polesani. Tre le “rotture” ufficiali: Paviole di Canaro, Bosco di Occhiobello e Malcantone. Proprio da lì delle vere e proprie ondate d’acqua coprirono tutto: case, persone, animali. Luciano ricorda tutto, soprattutto il rumore: “Era un tumulto, sembravano aerei che passavano vicini a noi, in realtà era lo scroscio dell’acqua che sommergeva tutto“. E fu terribile: in tanti presero le imbarcazione per salvare le persone che si aggrappavano agli alberi, ai tetti, a ogni cosa che galleggiasse. Ma non bastò: furono 100 i morti tra le persone, migliaia tra gli animali, infiniti i danni alle abitazioni, alle aziende e ai campi. Luciano ricorda: “Pensate che siamo riusciti a salvare due bambini dopo 36 ore: erano rimasti appesi alla cima di un albero, in pieno inverno, bagnati fradici, di notte e di giorno. Si salvarono solo grazie al loro gattino domestico, che era con loro: rimasero abbracciati con lui tutto il tempo per scaldarsi“. Scene di disperazione, sguardi di chi ha perso tutto, che si possono ritrovare negli scatti fotografici esposti a palazzo Roncale e nei documentari del tempo.

Ma la mostra “70 anni dopo” non vuole parlare solo del passato: vuole parlare anche del presente e del futuro del Polesine, terra che ha resistito e lottato per tornare a vivere. Nonostante in molti si fossero trasferiti verso il Piemonte dopo la tragedia, avendo perso tutto, altri rimasero. E si inizio a ricostruire, rimboccandosi le maniche. Al punto da far fiorire di nuovo Rovigo e la sua provincia, ripartendo proprio da quell’elemento che aveva distrutto tutto: l’acqua.

E così oggi si può ammirare il Delta del Po, rilanciato grazie al turismo lento, e la sua natura diventata patrimonio Unesco. Le campagne sono tornate a dare prodotti di grande eccellenza, come l’insalata Igp di Lusia e il riso del Delta, senza contare l’aglio bianco e tutti i prodotti ittici, tra cui le prelibate cozze, vongole e la famosa ostrica rosa del Delta. Anche l’ambito culturale si è sviluppato grazie all’acqua, aprendo vari musei, come quello archeologico di Adria e quello dei Grandi Fiumi a Rovigo, e l’università è arrivata a Rovigo, inaugurando proprio quest’anno il corso accademico internazionale in “Water and geological risk engineering” al Cur.

E anche Luciano si è ricostruito una super vita avventurosa: ha completato gli studi tecnici, è entrato nella Folgore e ha preso un brevetto di sub, diventando uno dei palombari più richiesti nelle piattaforme offshore in giro per il mondo. E grazie all’acqua, che tutto gli aveva portato via, è riuscito a vivere una vita bellissima. Scegliendo però di tornare a vivere proprio in quella casa in golena una volta in pensione: “Io questo fiume lo amo, lo guardo ogni giorno, nella sua splendida potenza e lentezza”.

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